#Quarantinelife
In questi giorni siamo tutti chiusi dentro le nostre case a causa del distanziamento sociale imposto dall’emergenza del Coronavirus.
Ho chiesto a Fabrizio Consoli, ideatore e co-fondatore di Blue of a Kind una chiacchierata virtuale, per rispondere ad alcune domande riguardanti il suo progetto, etico e sostenibile, di cui volevo portarvi a conoscenza. Di seguito l’intervista che ne ho tratto…enjoy!
Ciao Fabrizio, allora intanto vorrei sapere come ti stai vivendo questa quarantena…
Passo le mie giornate tra leggere, fare un po’ di sport e dare sfogo alla mia curiosità.
Sono affascinato e turbato allo stesso tempo dal ruolo “passivo” che abbiamo assunto tutti. Osservo la primavera che esplode al di là della mia finestra, mentre i nostri piani, pressochè tutti, implodono sotto i colpi del non pianificabile.
Lavorativamente la mia routine non è poi cambiata molto, lavoro spesso da solo. Questo esilio generalizzato è stato un’incredibile opportunità per essere proattivo, piuttosto che reattivo, come spesso ci impone il ritmo serrato della “normale” vita quotidiana.
L’idea di dare nuova vita ai jeans mi piace tantissimo…come è nata?
Sono contento e lusingato ti piaccia! Nasce tutto quattro anni fa, ad un pranzo surreale con un collega con cui lavoravo per un noto brand di moda.
Eravamo seduti al bancone di un ristorante in centro a Milano, ipnotizzati da come un cuoco stava brutalizzando una semplice bistecca annegandola nel burro, ed intanto discutevamo sui possibili scenari futuri nel nostro settore.
Il tema della sostenibilità faceva già capolino sul mercato, e ci piaceva molto la direzione. Ci siamo dunque chiesti: “Qual è il prodotto in assoluto più sostenibile?” – “Semplice, quello che già esite.”
Quell’intuizione è diventata un brand, ed il collega un mio socio.
Da dove vengono i jeans che recuperate?
In realtà le nostre fonti di approvvigionamento sono varie e variopinte: da enormi centri di raccolta di abbigliamento vintage in Italia e Francia, ai mercatini di Milano e provincia. Ultimamente anche amici e conoscenti ci regalano i loro capi dismessi, con un misto di voglia di liberare spazio nell’armadio e di curiosità nel sapere cosa diventeranno quei capi.
Come avviene il recupero, nel senso, il jeans viene disfatto per poi essere ricomposto con una nuova forma/ design?
I jeans vengono scelti accuratamente uno ad uno – questa è un’operazione che noi consideriamo già parte integrante della fase creativa – igenizzati e fatti spedire nel nostro laboratorio vicino Milano.
Qui vengono interamente scuciti e privati di tutti i bottoni, rivetti e cerniera, in modo da renderli nuovamente tessuto.
Una volta smontato, il singolo jeans viene ritagliato e rifittato completamente secondo i modelli Blue of a Kind. Questi poco o nulla hanno in comune con i capi di origine, se non il bagaglio di vissuto ed i relativi segni che il tempo e l’usura hanno lasciato sul tessuto, e che viene ereditato dai nuovi capi.
Chi disegna i nuovi modelli? e con che frequenza producete?
Il design e la creatività di prodotto sono integralmente sviluppati interamente, anche se a dire il vero, per la scorsa fashion week io e Andrea, il responsabile di produzione, abbiamo azzardato la reintepretazione di un modello di cui siamo piuttosto fieri!
In generale non crediamo alle proposte stagionali, dunque la collezione di Blue of a Kind è “una ed incrementale”, ovvero tre o quattro volte l’anno, a volte di più, aggiungiamo dei modelli che vanno ad arricchire l’offerta. La produzione viene spesso organizzata cercando di dare continuità al laboratorio, altre volte semplicemente per dare corpo ad idee estemporanee.
I vostri jeans subiscono un processo di colorazione?
No, nessuno. Non solo: non operiamo nemmeno i famigerati lavaggi industriali, responsabili di gran parte dell’inquinamento attribuito all’industria dei jeans. I nostri capi mantengono sempre la colorazione dei capi tradizionali che rielaboriamo. Del resto il concetto della sostenibilità ci ha guidato fin dall’inizio. Direi che Blue of a Kind nasce proprio dal punto di incontro tra il tentativo di individuare la traiettoria futura del settore moda di cui accennavo prima, unito alla spinta prorompente al volersi impegnare totalmente in un progetto che rispecchiasse in primis i valori in cui crediamo.
Fare imprenditoria in questo settore oggi, a mio avviso, deve considerare il profitto quasi come l’esternalità positiva del perseguimento di un fine più alto, un purpose per l’appunto. Credo che ogni nuova azienda debba avere un motore non monetario che detti la rotta…gli anni ottanta e novanta sono lontani.
Mi racconti come avviene la produzione?
La lavorazione avviene pressochè interamente nel nostro laboratorio (meglio: il laboratorio del nostro socio produttivo) a 50 km da Milano. Una volta smontati, i capi vengono ritagliati e riconfezionati. Ogni capo è realizzato a mano perché ognuno è unico non solo nell’aspetto, ma anche nel modo in cui reagisce ai vari procedimenti, inclusi smontaggio e confezione. Per ogni prodotto ci sono sempre adattamenti da fare e decisioni specifiche da prendere.
Siamo davvero più attenti ad acquistare green?
La mia idea è che per quanto riguarda l’abbigliamento il pubblico stia elaborando il passaggio dalla curiosità all’interesse. A ben vedere l’idea di operare scelte consapevoli è un processo trasversale a tanti ambiti: i prodotti bio al supermercato sono la normalità, le auto elettriche ed ibride parte del nostro panorama urbano. La gente sta diventando più consapevole. E’ a mio avviso in parte frutto del cambiamento generazionale, in parte l’onda lunga di un processo di sensibilizzazione che inizia a raccogliere i suoi frutti.
Nel settore fashion per ora si tratta spesso poco più del tentativo di inseguire il profitto sotto forme diverse, la reazione delle aziende tradizionali alle richieste di quella che è ancora una minoranza di consumatori responsabili. Il tipping point, il punto in cui questa tendenza diventerà mainstream è sicuramente prossimo, ma ancora non è qui.
Oltre all’e-commerce, possiamo trovare Blue of a Kind in qualche store?
Siamo una start up digitale per fondazione e vocazione, dunque lo sbocco naturale dei nostri prodotti è il canale diretto – online prima di tutto, a breve speriamo in un primo negozio monomarca. Stiamo però intensificando i contatto con alcuni player selezionati della distribuzione tradizionale, soprattutto a seguito della scorsa edizione di WhiteShow Milano dove abbiamo ricevuto un piacevole riscontro di interesse da parte di premium retailer, italiani ed europei.
Quale grande donna della storia passata o contemporanea vedresti indossare un paio di jeans Blue of a Kind e perchè?
Sicuramente una lady with a purpose! Mi vengono in mente Rania di Giordania, o Jane Fonda.
Il tuo fashion designer preferito?
Mi piace molto J.W. Anderson, ed ovviamente Margiela, padre spirituale della reinterpretazione e dell’upcycling.
Il tuo piatto preferito?
Non mangio carne per scelta etica, ma non ho rinunciato per ora al pesce, che adoro: rigorosamente crudo con olio e limone, possibilmente consumato d’estate, su un tavolo all’aperto vista mare.
Il tuo sogno nel cassetto?
Nel mio cassetto dei sogni c’è un bellissimo libro, un romanzo brillante ed ironico, profondo e inaspettato: temo di aver perso le chiavi del cassetto però, ed a ben pensare anche la cassettiera non la vedo da un pezzo…
Grazie!