The Next Green Talents è l’evoluzione sostenibile del The Next Talents, un progetto di scouting nato nel 2011 dalla collaborazione di Vogue Italia e Yoox. A differenza di quelle precedenti, le ultime due edizioni si sono focalizzate sui valori etici e su un approccio più attento al consumo.
Ecco perchè lo scorso mese di febbraio, durante la settimana della moda, io ed Andy ci siamo recati a Palazzo Morando: volevamo assistere a questo interessante evento con l’obiettivo di scoprire, ed in seguito potervi raccontare, i nuovi talenti della moda che mettono la sostenibilità al centro della loro creatività. Tra i designer che abbiamo incontrato, due in particolare mi hanno colpito molto. Una di questi è sicuramente Cora Bellotto.
Determinata a fare quella differenza sostenibile nella moda di cui noi andiamo tanto a caccia, Cora Bellotto, da cui il brand prende nome, è una fashion designer coraggiosa e dalle idee molto chiare. E’ stata una bella esperienza entrare nel suo mondo, visitare l’atelier al piano superiore del suo appartamento, e stare un po’ tra le sue creazioni, i colori e le stoffe naturali. Il suo approccio sostenibile, infatti, consiste nell’impiego di tessuti organici (cotoni e lane bio, canapa, ortica, ecc..), upcycling, riciclo, tecniche zero-waste e produzione etica.
E’ difficile descrivere a parole il mix di meravigliose sensazioni che si sperimentano indossando i suoi capi così leggeri, gentili, eleganti ed essenziali. Bisogna provarli, punto. Fatelo e mi direte… ma nel frattempo, scopriamo insieme a lei qualcosa di più sul suo brand.
Cora, hai sempre saputo che volevi fare la fashion designer?
Fin da bambina ritagliavo immagini dalle riviste di moda e creavo i miei primi look in forma di collage. La decisione però è arrivata verso i 16/17 anni, mentre ancora frequentavo il liceo classico: è stato allora che ho fatto il mio primo corso di sartoria. Ero affascinata dalle possibilità creative, dall’opportunità di lavorare con la testa e con le mani a un progetto tangibile. Da allora non ho più smesso; questo ad oggi è diventato il mio lavoro.
Come nascono i tuoi abiti?
Dipende… Alcuni nascono sulla carta, in modo più tradizionale, dal disegno al cartamodello. Ma molto spesso invece lavoro direttamente a manichino, soprattutto quando studio dei modelli zero-waste o minimal waste, dove cioè si cerca di eliminare lo scarto tessile in fase di produzione del capo.
Qual è il tuo target di riferimento?
E’ sicuramente una donna raffinata e attenta alle sue scelte d’acquisto. E’ consapevole del fatto che il pianeta su cui viviamo è la cosa più preziosa al mondo e che parole come “crescita” o “sviluppo” sono prive di significato in assenza di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. A modo suo ha una visione spirituale della vita e non si accontenta di risposte preconfezionate ma cerca solamente ciò che è vero per se stessa.
Quando e perché hai deciso di produrre in modo sostenibile?
Mi sono resa conto molto presto delle storture del sistema moda. D’altra parte se mi sono indirizzata verso questo settore è stato proprio perché credevo nei valori positivi che la moda può veicolare, perciò non mi sono lasciata scoraggiare dalle brutture che ho scoperto intorno a me; al contrario, tutto ciò ha rinsaldato le mie convinzioni e i miei valori. Pertanto la scelta di fibre naturali, traspiranti, senza pesticidi né coloranti aggressivi, è venuta da sé. Non credo in alcun modo che la scelta di materiali sostenibili sia una scelta penalizzante, tanto che anche i grandi marchi della moda e persino del fast fashion stanno iniziando a fare sourcing sostenibile. Quello che è penalizzante è l’attuale sistema economico e distributivo in genere, per cui il grande diventa sempre più grande e il piccolo semplicemente scompare. Ciò avviene ormai in tutti i settori, come sa bene soprattutto chi lavora in proprio o è imprenditore. Può sembrare una lotta senza speranza, ma non dobbiamo dimenticare che ogni nostra scelta di consumo che supporta il piccolo anziché il grande è un atto politico.
Che tipo di materiali/tessuti usi? Dove li acquisti?
Lavoro principalmente con canapa, cotone organico, lino, ortica, lana riciclata. Inoltre recupero tessuti vintage, ma anche tessuti difettati o fondi di magazzino per dargli una nuova vita. Il mio fornitore principale è Maeko Tessuti e Filati: quando ho smesso di fare solo upcycling e ho iniziato a realizzare piccole produzioni, Cinzia e Mauro sono stati il mio punto di riferimento e si è instaurata subito una bella relazione. Ho molta stima di loro sia a livello personale che professionale, anche perché tutto quello che fanno è meraviglioso!
Dove avviene la produzione?
Fino all’anno scorso ero in grado di produrre io stessa in casa gli ordini privati o le piccole produzioni. Adesso mi sto strutturando e ho attivato alcune collaborazioni: ho una modellista di fiducia, alcune sarte che mi aiutano e un laboratorio di riferimento per gli ordini più grandi.
Quali canali utilizzi per la vendita?
Una selezione di capi della collezione invernale è ora in vendita online su Yoox. Inoltre quest’anno ho partecipato ad alcune fiere di settore (tra cui il Neonyt, la fiera di moda sostenibile di Berlino) raggiungendo così alcuni negozi in Europa. In larga parte, però, lavoro ancora per ordini privati, tramite conoscenti o via Instagram.
Come sono i ritmi della produzione?
La sensazione, ahimè, è quella di essere sempre in ritardo e questo è, ad oggi, l’aspetto che meno mi soddisfa e che voglio provare a correggere. Il tema principale, come accennavo sopra, è essere piccoli e trovarsi a cercare di competere con il “grande”, inseguendone i ritmi e le modalità. Ormai i grandi marchi di moda presentano fino a 6 collezioni all’anno (per non parlare del fast fashion che sforna a ritmo continuo), mentre per me è già una sfida presentare due collezioni all’anno. Per il futuro sto valutando la possibilità di limitarmi a presentare solo una volta all’anno. Può sembrare una scelta anacronistica, ma credo sia importante avere il coraggio di andare contro corrente.
Come vedi il futuro della moda? Sarà tutta sostenibile? È possibile, secondo te?
Questa è una domanda difficile! Proverò a dare la mia risposta, ma lo farò iniziando con un’altra domanda: siamo ancora in tempo per accontentarci di soluzioni parziali?
Come ormai quasi tutti sanno, quella della moda è la seconda industria più inquinante dopo il petrolio. Se leggiamo gli studi scientifici pubblicati negli ultimi anni, ci rendiamo conto che la maggior parte concorda sul fatto che il punto di non ritorno è già stato superato. Le misure che si stanno prendendo non saranno sufficienti ad evitarlo. La sensazione di futilità e impotenza è molto forte e molte persone già soffrono di quello che viene diagnosticato come “climate despair”.
Personalmente trovo ugualmente controproducente farsi prendere dalla disperazione quanto credersi investiti del dovere di “salvare il pianeta”. Non vorrei correre il rischio di essere fraintesa, tutte le nostre piccole azioni contano moltissimo, ma se le approcciamo con lo scopo ultimo e presuntuoso di salvare il mondo ricadiamo nello stesso fondamentale errore che ci ha condotto fin qui, ovvero nell’illusione che l’uomo sia in una posizione di superiorità e che da lui possa dipendere tutto quanto.
Credo che oggi, abbandonata la speranza che un certo tipo di vita sia destinato a continuare, si apra la possibilità a speranze alternative e molto più radicali, in cui l’uomo possa riscoprire qual’è il suo ruolo e cosa è venuto a fare.
Con ciò voglio dire che no, non ritengo possibile che tutta la moda diventi sostenibile, mantenendo intatto l’attuale sistema di consumo.
Hai uno o più stitlisti che consideri punti di riferimento?
Mi piacciono molto il brand spagnolo Cortana e il brand australiano KowTow.
Altre passioni oltre la moda?
Lo yoga (di cui sono anche insegnante), l’astrologia, i tarocchi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto lavorando a una capsule collection di abbigliamento per lo yoga e la meditazione. Più avanti, mi piacerebbe espandermi anche al tessile per l’arredamento.
Per concludere, una domanda che faccio a tutti: Su una scala da 1 a 10 (dove 1 è per nulla sostenibile e 10 è assolutamente sostenibile!) quanto è green il tuo guardaroba?
Mi darei un 8. Ricordo che quando iniziai a studiare moda mi posi l’obiettivo di indossare solo capi fatti da me nel giro di qualche anno. Ad oggi non ho ancora raggiunto quell’obiettivo, anche se è vero che tanti capi nel mio armadio sono fatti o disegnati da me. Ci sono poi diversi pezzi vintage, soprattutto capi di mia madre o di mia nonna, o acquistati nei negozi dell’usato.
Il mio cappotto invernale preferito è un cappotto che apparteneva a mio nonno, che ho stretto e riadattato, perché mi piace moltissimo il tessuto di twill di lana.
Ritengo importante indossare dei capi che abbiano una storia, qualunque essa sia; che ci ricordino una persona in particolare, o il negozietto dove l’abbiamo comprato o la persona che lo ha creato (quando non siamo stati proprio noi stessi); tutto ciò contribuisce a farci trattare i nostri vestiti con più cura e attenzione, facendoli durare più a lungo – che è poi il segreto per ritornare ad avere un approccio più sostenibile e consapevole alla moda.
Grazie!
Complimenti!
Grazie <3