Se prima di conoscere WAO, qualcuno mi avesse detto che esistevano delle scarpe fatte con materiali naturali provenienti dalla terra e che, a fine vita, sarebbero ritornate alla terra, mi sarei sentita presa in giro e probabilmente mi sarei anche arrabbiata… sì, perchè su certe cose io non scherzo. Invece, amici miei, udite udite…nessuno scherzo, è tutto vero!
Vi spiego meglio.
Wao è un progetto che nasce da un profondo bisogno di sostenibilità. Allo stesso tempo è un contenuto di informazioni etiche, un promotore di una nuova società dei consumi basata sul rispetto di noi stessi e del nostro pianeta. Non solo, è educazione ambientale e un seme di consapevolezza che apre gli occhi ad un mondo che molti ancora non vedono, ma che per tanti che come noi lo stanno cercando, già esiste.
CAN WE MAKE IT COOL AND GOOD AT THE SAME TIME?
Questa la domanda iniziale che si sono posti i creatori di WAO quando hanno deciso di dare vita ad un brand di scarpe che non avesse un impatto negativo sull’ambiente.
Ed è la stessa domanda a fungere ancora oggi da faro e guida per tutte le loro scelte e le decisioni da intraprendere, sempre rigorosamente in linea con i criteri di eco-sostenibilità, slow production, riciclo, smaltimento e zero waste.
WAO è l’unico brand in Italia (e forse nel mondo) ad occuparsi anche dello smaltimento, nel senso che le scarpe a fine vita vengono ritirate, smembrate e smaltite nel modo corretto. Ho detto poco?
Riprendiamo fiato e capiamo meglio. Chi c’è dietro questo brand di moda così innovativo?
Sicuramente persone molto determinate a produrre un cambiamento positivo. Una decina di professionisti provenienti dal mondo fashion che, dopo averne toccato con mano il lato oscuro, quello che non viene mai raccontato e che è sempre tenuto ben lontano dai riflettori, hanno deciso di chiamarsi fuori e di fare una “ri- evoluzione”, come la definiscono loro. E in che modo? dando vita a qualcosa che non fosse solo bello esteticamente ma anche sano e giusto, laddove giusto sta per etico ed in equilibrio tra uomo e natura, senza cioè sfruttare l’uno e depredare l’altra. WAO!
Ho avuto l’onore e il piacere di intervistare due persone che appartengono a questo gruppo straordinario: Erika Moriconi, Fashion Designer, nonchè ideatrice del progetto assieme a Michele Stignani, e Gianmarco Giacometti, Fashion Designer e Creative Director.
Osservando Erika, con la quale ho avuto modo di passare più tempo, mi sono chiesta se diventiamo così gentili e nobili perchè cominciamo ad occuparci dell’ambiente e degli altri esseri umani o se nasciamo già così, persone dall’animo particolarmente delicato e il fatto di prenderci cura dell’ambiente e della sostenibilità sia solo una naturale conseguenza…
Erika e Gianmarco, mi raccontate cosa fate in WAO, di cosa vi occupate?
Erika: Posso dire che di WAO mi sento un po’ la mamma e, come tutte le mamme, sono la factotum della famiglia. Infatti passo dal design creativo, alla ricerca materiali, fino al coordinamento della produzione. Inoltre mi occupo della gestione di operazioni più tecniche, come l’inserimento ordini dei nostri clienti, il calcolo dei fabbisogni e la richiesta di materie prime ai nostri fornitori che, assieme a Gianmarco, andiamo sempre a conoscere di persona per accertarci della sostenibilità della filiera produttiva. Infine coltivo piante tintorie (mia grande passione), per tingere i tessuti.
Gianmarco: Io mi occupo di rendere armoniosa ed accattivante la sostenibilità. Mi spiego meglio: nella maggior parte dei casi un prodotto ecologico non è seducente perché l’unico focus è l’aspetto sostenibile. Il mio contributo in WAO è quello di coordinare il progetto dal punto di vista stilistico, passando dalla progettazione e sviluppo del prodotto che comprende la ricerca dei materiali e le sue applicazioni, alla comunicazione on e off-line.
Erika, in quali circostanze ti è venuta in mente l’idea di WAO?
Erika: WAO è nato da un sogno di una notte di mezza estate!
Io e Michele Stignani, Project Manager in WAO e amici da una vita (forse fratelli da altre vite), ci ritrovammo durante un’afosa serata milanese, in un Veg Bistrot, a parlare delle nostre esperienze nel mondo della moda “convenzionale”. In quel periodo lavoravamo entrambi nel settore del lusso e ci era capitato di collaborare per diversi brand, ma stavamo già maturando il desiderio di cambiare le cose. Provai a condividere con lui il pensiero che avevo avuto qualche giorno prima, ossia se tutti i produttori del settore moda iniziassero ad essere trasparenti riguardo alla filiera e quanto sarebbe stato bello coltivare naturalmente le fibre con cui fare i tessuti, oltre alle piante tintorie con cui tingerli senza l’utilizzo di agenti chimici.
La risposta di Michele fu: -” Wao!!!”
Partimmo così. Il suo spirito visionario, sognatore ed audace ha fatto sì che mi seguisse in questo viaggio emozionante. In seguito si sono uniti tutti gli altri “compagni” che hanno creduto in noi.
Quali sono stati gli elementi che hanno influito maggiormente sul vostro percorso professionale?
Gianmarco: Il primo viaggio che ho fatto in Asia per seguire un campionario di abbigliamento mi ha aperto gli occhi sui danni che causano le industrie fast fashion.
Era il 2013, e dopo la mia laurea in Design della Moda, ho iniziato a lavorare come consulente per varie aziende di abbigliamento, tra cui un brand indiano.
Le condizioni di lavoro e le modalità di smaltimento dei materiali da parte dei laboratori che producono per le più grosse catene di abbigliamento (quelle che invadono le piazze di ogni città del mondo), mi hanno fatto riflettere sul drammatico retroscena di un’industria che apparentemente sembra immacolata.
Ho sempre cercato di essere progettualmente etico e sostenibile durante il mio percorso di studi e sto applicando questo anche nel lavoro. In WAO ho trovato persone accomunate dalla mia stessa sensibilità e da una visione circolare dei processi.
Erika: Appena finita la mia formazione in Fashion Design (2007), ho iniziato a lavorare per diversi brand che mi hanno dato l’opportunità, non solo di crescere professionalmente, ma anche di viaggiare. Per anni, ho girato molte aziende della Turchia e del Bangladesh, e ciò che vedevo non mi piaceva. Tornavo sempre a casa con un enorme senso di colpa. Com’era possibile che non ci si rendesse conto che la mano d’opera a basso costo oltre oceano, ha in realtà, un costo ben più alto per la vita di quelle persone?
Perché tantissimi brand italiani del lusso producevano in quelle fabbriche pagando t-shirt e jeans tra i 5 e i 10 euro (costringendo tra l’altro parecchie aziende italiane a chiudere), quando poi li rivendevano nei loro negozi a partire da 700 euro?
Ad un certo punto ho sentito che non volevo più far parte di quella macchina infernale.
Con che frequenza producete?
Erika: La nostra è una produzione lenta. Ci concentriamo sulla ricerca di materiali e sul continuo perfezionamento del ciclo produttivo.
Dove producete?
Erika: Uno dei principali valori di WAO è la trasparenza ed è per questo che la nostra filiera assieme a tutti i nostri fornitori sono dichiarati sul nostro sito. La scarpa WAO è disegnata, tinta, prodotta ed assemblata solo ed esclusivamente in Italia.
Le scarpe che producete si possono definire degradabili?
Erika: Sì. La scarpa WAO è certificata Degradabile perché la gomma GO!ZERO studiata dal nostro suolificio, e prodotta ad oggi solamente per noi, si decompone per quasi il 35% nei primi 6 mesi e al 100% nei restanti 30 mesi. Allo stesso modo sono degradabili i tessuti, lacci compresi. La tomaia è in canapa e fibra di legno, mentre il sottopiede è in sughero e fibra di cocco.
Dove si possono acquistare le scarpe WAO?
Gianmarco: On-line sul nostro shop.
Dal momento che si sta diffondendo maggiore consapevolezza sulle questioni ambientali, pensi che le grandi case di moda, cominceranno finalmente a modificare le loro produzioni in una direzione davvero sostenibile?
Gianmarco: Si percepisce una “presa di coscienza” generale sulla questione ambiente. Mi sembra però in molti casi solo uno dei “temi” di tendenza per la prossima stagione.
Penso che sarà un processo di cambiamento lento e forse l’unica strada è che l’input provenga dalle persone, dai consumatori, dagli artigiani, dalle piccole aziende che giornalmente, da anni, producono in modo etico.
Pensi che siano pronti i consumatori ad acquistare sostenibile?
Erika: Sento che c’è finalmente un risveglio delle coscienze e trovo meraviglioso vedere che al nostro fianco, sempre più persone, sempre più realtà, soprattutto giovani, si muovono in questa direzione. Sicuramente è un tema caldo degli ultimi tempi e quindi è diventata anche un po’ una moda, ma il fatto che sia un trend o meno, non ha rilevanza ai fini di espandere la consapevolezza.
Gianmarco, su una scala da 1 a 10 (dove 1 è per nulla eco e 10 è assolutamente eco!) quanto è eco il tuo guardaroba?
Gianmarco: 8 direi! Personalmente compro veramente molto poco. Sono un fan del guardaroba essenziale. In molti casi utilizzo capi che ho realizzato per brand o capi campioni. Inoltre ho molti capi vintage che provengono dall’armadio di mio padre e di mio nonno.
Erika e Gianmarco, grazie!